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Desiderio

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Il desiderio è una dimensione potente. Platone immaginava il desiderio, insieme ad Èros, come uno dei due cavalli che conduce l’anima umana. L’etimologia di desiderio ha a che fare con il soffio, con quell’affannarsi del respiro che produce agitazione per qualcosa. In latino invece desiderium si riferisce all’assenza delle stelle, cioè alla mancata realizzazione di un progetto, di un futuro di cui si chiedeva la conoscenza e la via per avverarlo nella lettura dei segni celesti. Il desiderio è una forza, una spinta legata alla percezione di una mancanza.
Il desiderio, a differenza del bisogno, da cui non è sempre facilmente distinguibile, implica una consapevolezza,  e anche se il desiderio non sempre nasce da una scelta o da una ragionamento esso porta sempre con se la coscienza, implicita o esplicita, di un di più che si può essere e che ci fa sentire completi, appagati, felici.
La cosa misteriosa e incredibile del desiderio è che esso, sia quando è giusto che quando è sbagliato, nel senso che conduce ad azioni e scelte che fanno del male a se o agli altri, porta con se la memoria di una pienezza di corpo o di spirito che non siamo e che non abbiamo.
Il desiderio è l’impronta dell’infinito in noi nella forma della mancanza. Mancanza che possiamo accettare, così da tramutarla in energia che fa crescere e libera, rendendoci disponibili al dono che fa felici, o che possiamo rinnegare esponendoci al rischio dell’accaparramento egoistico e della soddisfazione cieca che calpesta diritti e doveri pur di realizzarsi.
In un caso o in un altro, il desiderio è e rimane una delle più grandi testimonianze del nostro essere di più della sola carne.

Originariamente pubblicato sul Settimanale “La Vita” del 27/9/2020