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Discepolo

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L’uso comune relega la parola «discepolo» all’ambito religioso o filosofico, sebbene il suo significato, «colui che impara», sia riferibile a qualsiasi disciplina e arte. Questo perché la religione, come la filosofia o l’arte, sono esperienze che mettono in gioco l’intera persona e non semplicemente la sua dimensione intellettuale.

Il discepolo fa sempre riferimento ad una persona: non si è discepoli di una religione, ma di Cristo; ne di una filosofia ma di un filosofo. Il discepolato esprime quella relazione speciale che lega una persona ad un maestro dal quale s’impara una visione del mondo fatta di idee, pratiche e valori, di cui il maestro è portatore.

La visione del mondo si avvicina molto al «senso» che si riconosce nell’esistenza e nella storia e che si cerca di realizzare. Spesso le nostre scelte, così come le nostre felicità o infelicità, sono legate alla visione del mondo che, consciamente o inconsciamente, ci guida e che abbiamo maturato «seguendo», da discepoli inconsapevoli, i tanti maestri più o meno anonimi che nella vita hanno conquistato il nostro affetto o la nostra attenzione, dai genitori all’ultimo youtuber di successo.

Una visione del mondo la si apprende dall’amore che ci ispira colui che la professa; perché il riferimento di senso nel mondo lo si matura nella relazione umana. Per questo si diventa «discepoli», in senso stretto, quando si decide di seguire qualcuno che ci ha aperto nuovi orizzonti di comprensione di noi e del mondo e che desideriamo imitare. Imitare, non ripetere. Perché un vero discepolo non impara dal maestro un copione già scritto, ma lo spirito con cui scrivere nuovi copioni.
(Cristiano D’Angelo)


Originariamente pubblicato sul Settimanale “La Vita” del 20 Settembre 2020