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I TRE CARDINI DI QUEL 2 GIUGNO

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di Mauro Banchini.

Accaddero diverse cose, quella domenica 2 giugno 1946. La guerra mondiale era finita da un anno. Il Paese era distrutto. Le macerie non erano solo quelle materiali – gli edifici bombardati, le infrastrutture distrutte –  ma riguardavano il “dentro” di ogni italiano.

Qualcuno, fra quelli che pure avevano lottato per contribuire a liberare il Paese dalle crudeltà del nazifascismo, aspettava di poter utilizzare di nuovo le armi perché illuso da altra dittatura. Tutto pareva sospeso, in attesa di novità. In quella domenica e nel lunedì successivo (giorni di ritrovata libertà elettorale), di novità ne arrivarono tre. Fondamentali ancora oggi.

Per la prima volta, nella storia dell’Italia, al voto furono ammesse le donne. Oggi può sembrare assurdo, ma prima di quel 2 giugno alle donne il diritto di voto non era riconosciuto. Votarono in 13 milioni, quel giorno, le nostre mamme, o nonne, o bisnonne (magari qualcuna di loro, ultimissima fra le testimone dirette, potrebbe ancora oggi raccontare l’ebbrezza di quella giornata). Votarono, le donne, insieme a 12 milioni, circa, di uomini. Fra maschi e femmine si raggiunse, rispetto al numero totale degli aventi diritto, una percentuale elevatissima: circa il 90%.

Si votò, in quei due giorni, per eleggere una “cosa” strana, chiamata Costituente: una assemblea che avrebbe iniziato a lavorare subito per concludere i suoi lavori entro la fine dell’anno successivo. Formata dalle migliori personalità di una politica che, allora, poteva fregiarsi della “P” maiuscola, lì si confrontarono uomini e donne divisi su tanti aspetti ma uniti dalla comune voglia di costruire una democrazia nuova. Seppero lavorare, insieme, per approvare quella Costituzione che ancora oggi, in particolare nei suoi aspetti fondamentali, regge la nostra comunità. Una Carta, scrisse tempo fa un costituzionalista, pensata “da sobri a valere per i momenti in cui siamo ubriachi”.

Il pensiero sociale cattolico, insieme a quello socialcomunista e a quello laico, seppero trovare sintesi. E seppero farlo, grazie al valore dei Costituenti, padri e madri, eletti proprio quel 2/3 giugno, in modo mirabile. Sapevano bene – molti di loro avevano patito il carcere, l’esilio, le umiliazioni, le violenze – cosa era stata la dittatura. E disegnarono una Carta, la legge delle leggi, fatta di grandi valori e preziosi equilibri.

Ma si votò, quei giorni, anche per altro: la forma da dare alla democrazia che stava nascendo. Continuare con quella Monarchia che tanta cattiva prova aveva dato sia all’inizio del regime fascista sia alla fine? Oppure scegliere una strada nuova, puntando su ciò che a molti (ad esempio una certa parte della stessa Chiesa Cattolica) pareva un salto nel buio: la Repubblica? Scelta complessa, difficile, affascinante. Ma scelta che solo gli italiani potevano fare: continuare a essere “sudditi” o diventare “cittadini”?

In un Paese spaccato (a schede scrutinate non grande fu la distanza fra i sostenitori del re e gli altri) vinsero i secondi. E cominciò un percorso davvero nuovo. Dal 1 gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione, l’Italia sarà “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (grande, in questa dizione e non solo in questa, l’apporto del pensiero sociale cattolico) con la “sovranità” non più detenuta da una persona sola, un re, ma “appartenente al popolo” che, a sua volta, sarà chiamato ad “esercitarla nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Vicende, all’apparenza, lontane. Nel 2021 saranno 75 gli anni trascorsi e fra qualche tempo, inevitabile, i testimoni diretti di quella domenica elettorale non ci saranno più. Sta dunque a tutti noi, anche nella vita quotidiana di una parrocchia, ragionare su cosa sia attuale rispetto ai tre cardini di quella giornata: il voto femminile, l’elezione dei padri e delle madri costituenti, la scelta repubblicana.

Con il suo carico di lutti e di paure, Covid-19 offre a tutti noi, comunque la pensiamo, una buona occasione per questa riflessione, per un ragionamento capace di stare sul cammino imboccato da chi, quel giorno, fece la scelta giusta: non limitarsi alla paura ma trasformare quella paura, quel dolore, in strumento di cambiamento; andare avanti nonostante tutto; scegliere di essere “cittadini”, dunque protagonisti e non semplici spettatori, di una democrazia che nessuno ci ha regalato una volta per tutte.

Potrebbe infatti, quella democrazia, attenuarsi fino a scomparire: in forme nuove, striscianti, all’apparenza innocue. Non certo con carri armati. Sta anche a noi – anche a noi che crediamo nel Magnificat e nel Dio fatto uomo – esercitare, ogni giorno, il coraggio di essere cittadini.

La forza di scegliere. La bellezza di confrontarsi fra diversi. Il ruolo delle donne. Scontato? Proprio non direi.