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Imparare dal cielo a immaginare l’impossibile

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«I cieli narrano la gloria di Dio» (Sal 19,2) sono le parole famose di un canto, caro ad ebrei e cristiani. Parole che esprimono una convinzione di fede nata dallo stupore che ogni uomo può ancora provare ogni volta che alzando gli occhi al cielo riesce a contemplarne la maestà delicata degli azzurri che riportano la quiete. Stupore che si rinnova di fronte al tripudio dei tramonti aranciati che fecondano lo sguardo di speranza, intessendo indecifrabili dialoghi di bellezza e di blu. E ancora stupore, quello della corsa a piedi nudi di popoli e generazioni cresciute nei campi, costretti alla fuga ad ogni tempesta, quando il cielo brontola diventando scuro e minaccioso. C’è l’uomo nei cieli, la storia della sua anima, i suoi desideri e le sue paure; storie di eroi e di amanti, scritti nella trama interminabile delle stelle che trapuntano d’immaginazione l’universo. E da quella impenetrabile profondità, inarrivabile all’intelligenza e allo sguardo, l’uomo impara l’umiltà che apparecchia l’animo all’incontro. E’ un annuncio di gioia disponibile per tutti, il cielo, un libro scritto da Dio che ogni uomo può leggere e capire, senza bisogno di parole o di suoni. Chi ha visto il cielo non può dimenticare. Per questo Dio impresse nel cuore di Abramo la certezza del futuro, invitandolo ad alzare gli occhi al cielo e a contarne le stelle (Gen 15,5). Perché non si può diventare padre di altri uomini se non si impara dal cielo la fedeltà e la giustizia; non si può essere fecondi, nel corpo e nello spirito, se non ci si appassiona all’infinito, accettando di non poterlo possedere.
Il cielo è tutto. E noi siamo niente. Eppure quel niente impara dal cielo ad immaginare l’impossibile e a sentirsi bambino. Ridateci il cielo, quello nascosto dai tetti e dai grattacieli, quello deturpato dai fumi e dalle luci. Ridateci il cielo, perché senza, tutto ci manca.

(Originariamente pubblicato sul Settimanale “La Vita”
del 24 Maggio 2020)