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Dall’apnea al respiro. Diario di bordo fra presente e passato prossimo

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di Emanuela Mascherini,
regista, attrice e scrittrice

Mi hanno chiesto tante volte di raccontare questo periodo da quando il virus ha preso spazio nelle nostre giornate ma fino ad oggi ho preferito tacere. 

All’inizio c’è stato un profondo smarrimento e rabbia, ho cercato di leggere quello che stava succedendo con gli strumenti della mia esperienza. Da quando sono nata sono entrata e uscita dagli ospedali  per me e per persone a me vicine, conosco abbastanza bene il senso di precarietà che esiste dietro quelle pareti, ma quello che ci sta succedendo adesso è diverso da tutto il resto. Ho riportato alla memoria i ricordi dell’isolamento in ospedale, cercando ancora della affinità, ma tutto era smentito dalla notizia del secondo successivo. E lo è tutt’ora. Premettendo che fuori da quelle mura sono belle anche le nuvole, e non mi stancherò mai di ripeterlo, anche la vita al di qua non è del tutto semplice e non lo sarà da tanti punti di vista. Non so se ne usciremo migliori, peggiori o uguali, un po’ dipende dai fatti, un po’ dipende dalla nostra volontà ma credo che abbiamo il dovere di uscirne cambiati. 

Per quello che ho potuto, mi sono imposta una forte autodisciplina, non solo per il mio lavoro ma anche per i miei stati emotivi. Ho cercato di prendermi cura di me come non facevo da anni, e dopo qualche settimana l’apnea ha lasciato spazio al respiro. E’ un tempo e un evento a cui nessuno di noi era preparato, che prevede un prima e un dopo, che indubbiamente va raccontato ma che prima di tutto vissuto. 

Mi è sembrato di sentire intorno un grande affanno a riempirlo di senso, di attività online e rumore. Io personalmente ho cercato di ascoltare e di essere vicina a chi gli strumenti creativi di sopravvivere a queste giornate non li aveva perché di fatto noi creativi, godiamo anche del vuoto creato da questo limbo. Questo non vuol dire che sia stato un periodo estremamente produttivo, ci sono stati giorni in cui solo inoltrare un’email è stato come scrivere la Divina Commedia. E poi è chiaro che questo periodo, e quello che ci aspetta, rimettono in discussione il lavoro dell’arte e i suoi contenuti a tutto tondo. Quindi credo davvero che in questo momento si debba rimanere fortemente in ascolto. 

Però ho cercato con grande fatica di rimanere produttiva e costruttiva. Ho continuato a lavorare per le Giurie, ho studiato moltissimo, ho seguito corsi online, ho visto film che dovevo recuperare, ho letto molto, ho scritto molto, ho partecipato a bandi e vissuto tantissimo su zoom per riunioni e incontri…sono nate sorprendentemente della belle collaborazioni. 

Tornando al quotidiano ho fatto molto pilates Barre, con maestre cattivissime che contavano i movimenti da dietro una schermo, perché la mente non vagasse fra le ombre. Ho camminato in giardino, contando i passi e i segni della primavera che era uno dei pochi elementi rassicuranti di questo periodo. Ho meditato molto e sono stata in contatto con amici vicini e lontani e con persone più vicine alle zone più colpite, che hanno una percezione molto diversa dalla nostra. 

Ho raccolto tanto materiale e pianto alle notizie che arrivano ogni giorno. Mi sono dovuta tutelare, perché ho un’emotività spugnosa e assorbo anche le sfumature.

Ho cercato poi di immaginare un futuro abitabile, di pensare un cinema produttivamente sostenibile e delle nuove modalità di fruirlo anche per la “Rassegna CineAtelier”, che è proprio sul vostro territorio e che è stata sospesa a causa dell’emergenza. Sono abituata ad adattarmi e farò di tutto perché tornare a raccontare storie sia possibile al più presto. Vorrei anche che sia le istituzioni, sia gli addetti ai lavori, sia il pubblico, che semplicemente fruisce, si rendessero conto di quanto “le storie e l’arte” siano stati importanti in questo periodo. Chi fa arte e di questo vive, si mette consapevolmente a rischio scegliendo di vivere di questo e sarebbe bello che non fosse trattato come “la scimmia del circo” ma come una persona che fa un lavoro necessario alla collettività, sia per le tutele che per il rispetto della professione.

A dire il vero non so quando sarò pronta davvero per raccontare qualcosa di quello che sta succedendo e se lo farò. Ho sentito usare spesso la metafora della guerra…ma non mi piace usarla perché è presuntuoso e fuori misura, qua il nemico è invisibile e può essere nascosto in una stretta di mano. Un nemico mai conosciuto prima. E allora davvero non lo so quando saremo pronti a raccontarlo, a sapere cosa è stato. Non lo sa nessuno. Per come la sto vivendo io c’è bisogno di un distacco, di un’elaborazione e sopratutto che il presente diventi almeno passato, per quanto prossimo.