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Sugli Angeli.

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di M. Banchini


Già, gli angeli. Chi sono? A che servono? Esistono davvero? È proprio vero che ciascuno ne ha uno personale, quello che si chiama custode? Da adulti, in molti casi da vecchi, ce le ricordiamo le parole della preghierina a suo tempo imparata a memoria? Già, quella che faceva: Angelo di Dio che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla Pietà Celeste. Amen. La insegnano ancora, al catechismo, una preghiera così antica?

Nel giorno di Pasquetta, nel lunedì dell’angelo così detto per ricordare quella figura vestita di bianco apparsa alle donne, davanti al Sepolcro vuoto, con un messaggio incredibile invitandole a moltiplicare quel messaggio, lo confesso: la questione “angeli” non è fra le prime nella mia personale agenda di credente.

Ho sempre trovato stucchevole la retorica esercitata anche oggi – in tempi di sostanziale miscredenza – a proposito di angeli. In questi giorni, di coronavirus, la retorica esplode. Due concetti già complicati (angeli ed eroi) vengono uniti per definire il lavoro di medici, infermieri e altre categorie oggi in prima linea. Hanno un bel dire, loro, di non essere né santieroi ma di limitarsi solo a fare il loro lavoro, peraltro spesso malpagato: la retorica prosegue, avvolge spot mielosi, contribuisce a svilire quella “categoria” ultraterrena. Loro come messaggeri e perfino il loro messaggio.

Partiamo dalla preghiera di noi antichi bambini. L’angelo è dunque creatura di Dio. E ciò rimanda alle altre creature, i demoni, su cui ci sarebbero tante cose da dire. Ecco: sono più portato a riflettere sui demoni che sugli angeli. Se il bene dei secondi mi pare (non certo per colpa loro, ma a causa della traduzione che noi ne abbiamo fatto) dolciastro, è il male dei primi che trovo concreto. Ma spero sempre in quel “non praevalebunt” con cui Cristo rassicurava Pietro.

Quell’angelo è dunque il mio custode. Così come il nostro compito verso Madre Terra non è depredarla ma custodirla per chi verrà dopo di noi, il compito del nostro angelo privato è stare attento a noi, starci al fianco, portarci quel messaggio che rende liberi. Perché ciascuno di noi ne ha uno, di angeli custodi. Chissà. Ma è bello, rassicura, sapere che accanto alla nostra vita quotidiana c’è una entità che vigila sui nostri comportamenti e, vigilando, ci consiglia. Salvo poi prendere atto, un po’ come il Grillo Parlante del Pinocchio, che quei saggi consigli noi, con il nostro arbitrio per fortuna libero, possiamo perfino ignorarli. Magari pure facendocene vanto.

Arrivano poi quei quattro inviti serrati, uno dopo l’altro, in una consecutio che può perfino infastidire le nostre menti di cittadini “moderni”. All’angelo chiediamo che sia lui a illuminarci (in un cammino spesso da compiere al buio), a custodirci (quando la tentazione, da sempre e per sempre, sarà quella di sapercela fare da soli), a reggerci (in un terreno pieno di sabbie mobili, denso di trappole, scivoloso come un sentiero di montagna appena dopo la pioggia).

E infine, all’angelo, chiediamo di governarci. Noi così ambiziosi da ritenere che il governo della nostra vita spetti solo a noi. Noi che in giorni di pandemia ci siamo scoperti tutti virologi, tutti economisti, perfino tutti statisti. Proprio noi dovremmo implorare l’angelo perché sia lui, e non noi, con la nostra boria, a esserci di personale governo?

E’ forse solo accettando l’ultimo concetto (la “pietà celeste”) che il rebus, la sfida, può scioglierci. C’è un quadro che quando ho saputo essere molto apprezzato da papa Francesco ho voluto vedere dal vivo. Un dipinto, settecentesco, conservato in una piccola chiesa di Augusta, in Germania. Maria che scioglie i nodi. Al centro della tela la Vergine. Ai suoi lati due angeli. Il primo le porge una stoffa, un nastro pieno di nodi intrecciati e l’altro raccoglie lo stesso nastro finalmente libero dai nodi che Maria ha sciolto.

Appunto: messaggeri di una notizia positiva (i nodi, anche quelli intricati assai, si possono sciogliere), testimoni di un fatto all’apparenza assurdo (il Sepolcro è vuoto), cooperatori in un percorso complicato (la riparazione di un nastro da inservibile a nuovo).

E’ il saperli accettare come messaggeri, testimoni, cooperatori che queste creature incredibili come gli angeli possono esserci d’aiuto. Forse voleva dire questo, anni fa, un poeta polacco, già Nobel 1980 per la Letteratura, in un suo scritto “sugli angeli”. Il suo nome (Czeslaw Milosz) è di difficile pronuncia. Le sue parole sono di ascolto buono.

Sugli angeli

Vi hanno tolto le vesti bianche,

Le ali e perfino l’esistenza.

Tuttavia io vi credo, messaggeri.

Là dove il mondo è girato a rovescio,

Pesante stoffa ricamata di stelle e animali,

Passeggiate esaminando i punti veritieri della cucitura.

La vostra tappa qui è breve,

Forse nell’ora mattutina, se il cielo è limpido,

In una melodia ripetuta da un uccello,

O nel profumo delle mele verso sera

Quando la luce rende magici i frutteti.

Dicono che vi abbia inventato qualcuno

Ma non ne sono convinto.

Perché gli uomini hanno inventato anche se stessi.

La voce − senza dubbio questa è la prova,

Perché appartiene a esseri indubbiamente limpidi,

Leggeri, alati (perché no?),

Cinti dalla folgore.

Ho udito sovente questa voce in sogno

E, cosa ancor più strana, capivo pressappoco

il dettame o l’invito in lingua ultraterrena:

è presto giorno

ancora uno

fa’ ciò che puoi.