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Poggio – Charlottesville (Usa) un legame che continua nonostante il COVID19

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di Stella Mattioli,
insegnante poggese in USA

Mi sono trasferita a Charlottesville nel 2013, per seguire un Master in Italian Studies. Successivamente, sono rimasta per lavorare all’università come insegnante di italiano.
Sotto molti aspetti le abitudini quotidiane sono simili, con alcune, piccole differenze. La risposta al Coronavirus è stata recepita dagli abitanti di Charlottesville in maniera simile a quelli di Poggio: con molta attenzione e responsabilità (salvo qualche rara dimostrazione di incoscienza). Mi fa piacere poter dire che Jim Ryan, il presidente della University of Virginia, ha deciso in autonomia di sospendere le lezioni di persona a partire dal 7 marzo e fino alla fine dell’anno scolastico. Questo prima che la situazione si aggravasse, considerato anche l’alto numero di studenti e studentesse che normalmente vivono all’interno del campus (cosa che avrebbe sicuramente contribuito a far aumentare il numero dei contagi, se questa decisione non fosse stata presa).
I Governatori dei singoli stati hanno molta libertà, e in questo caso, il Governatore della Virginia ha deciso di intervenire prima di altri. Sono state imposte delle restrizioni molto simile a quelle italiane, con l’eccezione del divieto di attività fisica personale. Al momento in cui sto scrivendo (4 maggio) il Governatore ha deciso di prorogare questa “fase 1” fino al 15, e non fino all’8, come previsto.
In questa situazione così particolare, sono stati messi in evidenza gli aspetti positivi di vivere in una città non troppo grande, in cui le persone sono spinte a “fare comunità”. Sono nate iniziative spontanee da parte di gruppi di vicinato e chiese locali. Charlottesville ha delle ampie comunità religiose, di diverse confessioni. A poca distanza da casa mia ci sono chiese luterane, battiste e altro. Tutte si sono date da fare fin da prima delle ordinanze di chiusura, in molti casi decidendo autonomamente di sospendere i servizi religiosi, spostandoli online. Si sono trovati anche modi creativi di rimanere vicini ai fedeli: molte chiese tengono fuori una sorta di lavagna su cui scrivere messaggi e orari dei servizi. Queste lavagne sono diventate modi per mandare messaggi alla comunità e, in generale, per mantenere i contatti e per incoraggiare chi si trova più in difficoltà.
Ci sono stati diversi altri esempi di singoli, gruppi e associazioni che si sono attivati allo scopo di aiutare chi si è improvvisamente trovato in condizioni di difficoltà. Penso a tutte le famiglie che hanno fatto uno sforzo per ordinare cibo a domicilio dai ristoranti locali, o agli stessi ristoranti che si sono organizzati per fornire pasti a chi si è trovato senza lavoro. Senza contare chi si è sforzato nel proprio piccolo per organizzare caccie al tesoro nei propri giardini, per divertire i bambini di passaggio che si sono trovati senza le consuete attività all’aperto nel periodo di Pasqua. Per quanto sia difficile, è vero che è quasi sempre possibile trovare un aspetto positivo anche negli avvenimenti più drammatici.
Al tempo stesso, però, già in fatto di poter fare questa riflessione significa che molti di noi sono, come si dice qua “privilegiati”. Non bisogna andare lontano per trovare persone che non hanno accesso ad acqua e sapone, o non hanno una casa in cui isolarsi, o non possono permettersi di smettere di lavorare neanche momentaneamente, mettendo quindi a rischio la propria salute e quella delle loro famiglie. Le differenze sociali sono state messe ancora più in evidenza. Quello che spero è che in futuro, grazie a quest’esperienza, si sviluppi una maggiore attenzione verso lavori e categorie che fino a questo momento erano stati visti come “secondari” o non abbastanza importanti.