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“Ciò che è essenziale è invisibile all’occhio”. testimonianza di una poggese a Londra ai tempi del covid19

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di Diletta Bianchini,

dott.ssa al Royal Marsden Hospital (Londra)

E’ iniziato tutto da lontano. Un virus sconosciuto, forse venuto fuori da un mercato in Wuhan. Un medico in Cina si accorge di un anomalo incremento di casi di polmonite severa. Da lì a breve morirà di quella stessa malattia da lui identificata dopo essere stato prima incriminato dal governo e poi tornato sul “campo” a curare i pazienti malati di COVID-19. 

Così si chiama questo tsunami che ha investito tutti senza eccezioni, un virus assolutamente democratico. L’ho osservato con terrore avvicinarsi a noi e con ancora più terrore mi sono resa conto della convinzione di molti che fosse solo un’influenza o che “qui” non sarebbe arrivato. Chissà perché, spesso, ci sentiamo così immuni alle sventure, forse per esorcizzare la paura, un rifiuto psicologico di accettare una realtà scomoda. 

Mi viene spesso detto di essere di natura pessimista ma io sono un oncologo e purtroppo le cose brutte mi capitano davanti agli occhi tutti i giorni. 

Poi il peggio è successo, il virus è arrivato dappertutto ed è stato troppo tardi per tirare su i muri tra le nazioni. Il mondo non è mai stato così unito nella sciagura e nello stesso tempo così diviso. Ci siamo ritrovati all’improvviso in isolamento forzato, vulnerabili e persi, con la sola certezza del bollettino giornaliero.

A fine gennaio mio marito, dopo un viaggio di lavoro a Shanghai, comincia ad avere una tosse secca e persistente, un senso di peso e bruciore al petto, senza febbre ed io comincio a tremare e a chiedermi se è già arrivato a casa mia. 

Quasi subito, per il forte desiderio di saperne di più, mi sono immersa nella rete colpita da una infodemia acuta e mi sono unita su Facebook ad un meraviglioso gruppo di medici italiani impegnati nella lotta contro il COVID-19, che ringrazio enormemente. In questo gruppo ognuno riporta le proprie esperienze personali o professionali, osservazioni o dati scientifici su questa nuova malattia che pian piano ha cominciato a delinearsi più precisamente. Ho imparato più da loro che da tutte le pubblicazioni scientifiche pubblicate fino ad ora. 

Nel frattempo lo stress aumenta, i supermercati si svuotano e la carta igienica diventa il bene più ambito dagli inglesi così che non se ne trova più. Il 18 Marzo, presa dalla disperazione, mi alzo di buona volontà e alle 6 di mattina sono a spingere il carrello, però faccio fatica, non respiro molto bene e mentre faccio la fila mi devo sedere perché sento di stare per svenire. Sapevo già che la sincope o pre-sincope può talvolta essere uno dei sintomi di presentazione del COVID-19 però penso di essere anche molto stressata, quindi mi rimetto in moto e vado al lavoro. I giorni passano e quella sensazione di respirare male non passa, ho anche capogiri e senso di testa vuota, qualcosa non va. Qualche giorno dopo avverto dei brividi e penso : “Ecco, ci siamo”, ma la febbre non viene e allora penso che è tutto nella mia mente e vado avanti. Poi mi ritrovo a leggere un libro ai bambini e per l’affanno quasi non riesco a parlare e mi dico che questa non può essere solo ansia. Chiamo il 111 e mi dicono di auto-isolarmi per una settimana e che un medico mi avrebbe richiamato entro le 24 ore. Quindi vado a letto ma quasi non chiudo occhio, non so se per la paura o perché effettivamente non respiro bene e sento un senso di peso al petto. 

I sintomi continuano per una settimana, poi magicamente e gradualmente mi sento meglio e torno al lavoro. Ne’ io, ne’ mio marito abbiamo fatto il tampone ma sono sicura di averlo avuto, per fortuna in una forma molto lieve. 

Questa pandemia mi ha fatto riflettere molto su che cosa significa essere un medico e che cosa ci spinge a fare ogni giorno quello che facciamo. All’inizio ero molto impaurita, terrorizzata direi, all’idea di dover essere riallocata, per forza di causa maggiore, in un reparto COVID. Ci sono state molte polemiche specialmente in Inghilterra, dove vivo ormai da molti anni, circa la scarsa disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale che condivido pienamente. Tanti medici sono morti sul lavoro, attrezzati di poca protezione e molta dedizione. 

In corsia la paura passa subito, soppiantata da un imperativo più grande che è quello di mettere al servizio del paziente la nostra conoscenza. Noi, medici e infermieri, muniti di mascherine, visitiamo, prendiamo i parametri, discutiamo e il distanziamento sociale è annullato. Mi guardo intorno e vedo occhi attenti, visi contratti a scrutare monitors e cartelle e mi sento bene perché sono esattamente dove voglio essere. Siamo lì per aiutare a fare star meglio il paziente, noi passiamo in secondo piano. Ho sofferto molto per il fatto di non essere in prima linea ad aiutare i miei colleghi italiani ma sono molto fiera di tutti loro e so per certo che non esiste medico più compassionevole e dedicato di un medico italiano. 

Il danno umano e materiale conseguente alla pandemia di COVID19 è incalcolabile, e ne soffriremo per anni a venire purtroppo, ma adesso forse riusciamo a vedere cose che prima erano nascoste sotto una coltre di false sicurezze e di falsi valori. Un virus microscopico ha bloccato il mondo ma in cambio ci ha fatto riscoprire i valori della famiglia e dell’amore. 

Forse bisognava distruggere per ricostruire.